Un petchu pleisì

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11.11.2017

“Un petchu pleisì, ni fauta d’un petchu pleisì…”

Forse si può riassumere in questa frase, ormai di uso comune, il degrado morale in cui si trova oggi la nostra Petite Patrie.

La crisi della nostra economia ha radici profonde. Nasce agli inizi degli anni ‘80 con il riparto fiscale: una crescita economica paragonabile alle regioni europee più evolute tutta incentrata però sulla spesa pubblica. Non sono io (non ne ho le competenze) a dover dare un giudizio storico sul trentennio 1980/2010 che corrisponde grosso modo anche ai miei primi trent’anni di vita, però una riflessione è doverosa in questo momento. 

A fronte di un riparto fiscale che finalmente riconosce in maniera più stabile e compiuta la nostra autonomia corrisponde una crescita economica e di benessere che probabilmente non ha eguali in Italia e, forse, anche in Europa. E non si può non riconoscere come gli interventi messi in campo dalla politica in questo periodo storico ci abbiano regalato un diffuso benessere:

  • un welfare capillare ed invidiato
  • un sistema sanitario d’eccellenza
  • un’agricoltura di qualità
  • una difesa puntuale del territorio
  • un turismo in grado di competere con rinomate località internazionali
  • una trasformazione industriale che ha permesso di mantenere un livello occupazionale elevato
  • un sistema di istruzione attento al nostro particolarismo linguistico e alla tutela delle piccole, anche piccolissime scuole di villaggio…

e così via. Potrei continuare l’elenco di eccellenze che hanno trasformato questa piccola regione di montagna, prevalentemente agricola e rurale, in una moderna località turistica che ha saputo costruire livelli di benessere diffusi ed elevati.

Parallelamente, però, è cresciuta una cultura della richiesta del contributo, dell’aiuto pubblico di cui tutti ne hanno potenzialmente beneficiato. Dall’imprenditore che ha usufruito del contributo a fondo perduto al comune cittadino con i “buoni benzina” o “il contributo per i tetti in losa” e allo studente universitario con i ticket dei treni o il contributo sull’affitto.

Anche qui gli esempi si sprecano ma l’esito è lo stesso: in questi ultimi trent’anni è cresciuto il benessere, sono cresciuti i servizi, è aumentata la capacità di spesa dei valdostani ma si è purtroppo anche imposta una cultura dell’assistenzialismo, che ha ucciso lo spirito d’iniziativa dei privati. Il benessere diffuso può essere offerto a livello regionale e spesato con soldi pubblici, perché affannarsi per cercarlo? Perché correre un rischio d’impresa se poi qualcuno, in qualche modo, darà un contributo sotto qualche forma? Perché impegnarsi a realizzare una manifestazione turistica per promuovere la propria località se tanto ci pensa la pro loco con i contributi del Comune?

Con il passare del tempo, con il mutare delle condizioni economiche e con la crescita incessante della disoccupazione e della povertà, il piccolo piacere cambia. Da richiesta assistenziale si trasforma in richiesta di qualcosa che non è previsto dalla legge: mi cerchi un posto di lavoro? Mi dai una mano? Mi aiuti ad entrare al Casinò o nella Forestale? Mi dai una casa popolare? E qual è l’emblema di ciò?

“Me fu feei un soito ba eun Veulla dermase mateun” … “ni fauta d’un petchu pleisì”

Far un salto in città il martedì mattina, per chiedere un piacere…

Forse è una banalizzazione, o un’esagerazione. Ma fino ad un certo punto. Il diffuso benessere che abbiamo ottenuto senza troppi sforzi ha fatto crescere talmente tanto la cultura del contributo, del piccolo piacere, dell’aiutino che è diventata normalità. Quella che doveva essere eccezione, alla lunga ha fatto pensare al cittadino che la prassi per ottenere il desiderato fosse rivolgersi al politico di turno, e al politico che il suo dovere fosse dare questo aiuto.

Una distorsione totale del senso del pubblico e del privato

Ed intanto dal 2010 ad oggi che succede? Semplicemente il bilancio regionale passa da quasi 2 miliardi a poco meno di 1. Tutto il sistema inizia pian piano a franare e la cultura del piccolo piacere non può più salvare né bastare. Il risultato è quello che leggiamo in questi giorni sui giornali e sui vari siti d’informazione. Per carità, la presunzione di innocenza vale per tutti, a maggior ragione in casi tanto delicati, ma il quadro che ne emerge è quanto meno indegno. 

Qualcuno  l’ha chiamata “Cuomolandia”, a me ricorda molto  il Signor Wolf di Pulp Fiction: 

“Tu sei Jimmy, giusto? È casa tua?”
“Sì proprio così”
“Sono il signor Wolf, risolvo problemi”
“Ah, bene ne abbiamo uno”
“Me l’hanno detto. Posso accomodarmi?”
“Ah si prego, entri”.

La ricostruzione dei fatti accaduti ci restituisce una fotografia nella quale “il piccolo piacere”, se così possiamo chiamarlo, assurge ad elemento centrale, e segna il degrado massimo della nostra società. Se ciò corrisponde (almeno in parte) al vero, il problema dal punto di vista politico non è più l’alleanza con il partito A o il movimento B. Il problema è più complesso e ramificato. Ha ragione Stefano Sergi su La Stampa nell’editoriale della pagina della Valle di oggi: è una resa incondizionata diffusa perché parte dal basso, perché interroga tutti e coinvolge tutti.

Due sono le semplificazioni a cui non voglio cedere: di qui i disonesti, di là gli onesti, che mi pare semplifichi troppo il dibattito che si sta sviluppando in queste ore in Valle. Le alleanze si fanno sulla base dei programmi non in base alle simpatie o antipatie personali. E le alleanze si fanno  con i partiti o movimenti politici, non con le singole persone che pro tempore li rappresentano.

L’altra semplificazione, ancor più grande è la purtroppo tanto diffusa idea che tutti sono corrotti, tutti sono disonesti. In questo scenario invece, va ribadito con forza, che la responsabilità penale è personale, ciascuno risponde delle proprie azioni o omissioni, e non si può infangare un intero partito per accuse, anche pesanti, dirette ad alcuni suoi membri di spicco. 
Per me l’impegno politico è pro tempore, presuppone onestà e comporta sacrifici e tempi lungi di preparazione e studio per essere all’altezza del compito. L’improvvisazione, invece, è l’anticamera del populismo.

Come uscire dal sistema?

Credo che si possa uscire da questo sistema ormai al tracollo solo con un lungo percorso di educazione civica e selezionando politicamente le persone per bene, le persone oneste, ovunque esse si collochino, per cercare di riaffermare con forza il binomio politica/rettitudine morale, elevare il dibattito, affrontare efficacemente i problemi, e riacquistare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Io, nel mio piccolo, inizio già ora: domenica 19 novembre, alle primarie del PD della Valle D’Aosta vado a votare una giovane donna, che si è formata nella scuola di partito e attraverso il volontariato sul territorio, un volto nuovo per una politica bella, fatta di competenza e di passione, unica via d’uscita che ci è rimasta. Forza Sara Timpano!

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Chi sono

Fulvio Centoz

Sono stato sindaco di Aosta per il Partido Democratico dal 2015 al 2020, ma inizio la mia carriera politica nel 2005 come consigliere comunale di Rhêmes-Notre-Dame.

Oggi sono per continuare a parlare di politica, per fare delle riflessioni sul mondo che ci circonda e su come vorrei che la Valle d’Aosta e l’Italia affrontassero le sfide che ci riserva il futuro.

Benvenuto sul mio blog.

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